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Abbiamo affrontato questo argomento con Alessandro Rufini (in foto sulla sinistra), ingegnere delle telecomunicazioni e da sempre appassionato di informatica e innovazione. Dal 2009 si occupa di soluzioni Cloud, con un approccio orientato non solo a superare i limiti dell’on-premise, ma anche a valorizzarne i punti di forza in ottica ibrida. Oggi è responsabile del delivery per diversi team di consulenti esperti di processi e tecnologie digitali in Cloud. Lavora con infrastrutture moderne, piattaforme dati, CRM e sistemi di engagement per aiutare le aziende ad affrontare con successo le sfide dell’adozione tecnologica, dalla GenAI alle applicazioni Web più evolute.
Con Alessandro Rufini, abbiamo parlato di Business Continuity e Disaster Recovery, di come queste strategie non siano più riservate solo alle grandi imprese e di quanto sia importante, oggi più che mai, farsi trovare pronti ad affrontare eventi imprevisti senza compromettere la continuità del business.
5 domande ad Alessandro Rufini
Quanto sono realmente pronte le aziende italiane – in particolare le PMI – ad affrontare un’interruzione operativa o un evento imprevisto?
Negli ultimi anni l’attenzione è cresciuta, soprattutto da parte delle grandi aziende, che oggi stanno lavorando seriamente sul tema. Le PMI obbligate a rispettare le nuove normative in materia di sicurezza – come la NIS2 – si stanno muovendo, soprattutto per non perdere credibilità sul mercato. Tuttavia, al di fuori di questi casi, esiste ancora un ampio universo imprenditoriale che non è pronto né culturalmente né tecnicamente. Il paragone che faccio spesso è con le assicurazioni: non tutte le imprese investono in una polizza e lo stesso vale per le tecnologie di protezione. Molti non vedono la necessità di difendersi finché il danno non arriva. Ma oggi, in un mondo esposto a minacce crescenti, dagli attacchi hacker all’evoluzione dell’intelligenza artificiale, se utilizzata in modo malevolo, nessuno può davvero sentirsi al sicuro. Nemmeno le grandi aziende.
Quanto conta oggi la velocità di reazione a un attacco o a un guasto informatico? E quali tecnologie o strategie sono davvero prioritarie?
Conta tantissimo. Dipende ovviamente dal tipo di business, ma essere rapidi nel bloccare l’attacco e nel ripartire è fondamentale per tutti. Oggi ogni organizzazione dovrebbe avere chiari i propri obiettivi di RPO e RTO – cioè sapere quante informazioni può permettersi di perdere e quanto tempo può rimanere ferma. Un piano di Disaster Recovery ben fatto è l’unico strumento che permette davvero di uscire da uno scenario critico: deve consentire di disattivare l’infrastruttura compromessa e attivarne una di backup, garantendo almeno la continuità delle funzioni essenziali.
Qual è la differenza tra backup e un vero piano di Business Continuity e Disaster Recovery?
Il backup è una componente tecnica, serve a ripristinare i dati in caso di perdita, ma da solo non basta. Un piano di Business Continuity e Disaster Recovery (BC&DR) è molto più completo: prevede procedure, strumenti, responsabilità e scenari alternativi per assicurare la sopravvivenza dell’azienda anche in caso di eventi gravi come un attacco cyber o un guasto prolungato. Ad esempio, un backup mal gestito può essere inutile se compromesso dagli hacker. Il piano di BC&DR invece serve proprio a garantire l’operatività, anche in condizioni straordinarie.
Cosa prevede concretamente un piano di Disaster Recovery? Come può davvero salvare un’azienda in difficoltà?
Tutto parte dalla comprensione del proprio core business. Un artigiano, ad esempio, può continuare a lavorare anche se perde l’ordine digitale. Ma un’industria che ha digitalizzato processi e produzione, se viene colpita da un attacco, rischia lo stop completo. Il piano di Disaster Recovery deve quindi essere costruito sulla base delle vulnerabilità reali dell’impresa e serve a garantire che le attività critiche possano proseguire anche in caso di disastro, come un attacco ransomware o un incendio del data center. A volte basta individuare quali funzioni aziendali devono restare sempre attive: non tutto va protetto allo stesso modo e non tutto ha lo stesso valore economico.
Una piccola impresa può sostenere un investimento in BC e DR? È davvero fattibile anche per un piccolo imprenditore?
Assolutamente sì. Anzi, è spesso più semplice per una piccola impresa implementare soluzioni agili ed efficaci. Oggi esistono infrastrutture ibride, sistemi in cloud, server facilmente ripristinabili: bastano alcune scelte mirate, anche con budget contenuti. Fìdoka, ad esempio, può aiutare le aziende a definire un perimetro minimo di sicurezza, commisurato al budget ma capace di offrire una vera protezione. Serve un cambio di prospettiva: non è un costo IT, è un investimento per garantire continuità alla produzione. Le imprese dovrebbero chiedersi: “Se oggi mi fermo per un guasto, quanto perdo in una giornata?”. La risposta a questa domanda vale spesso molto più del costo di una soluzione di Business Continuity.
La tecnologia non serve solo a innovare, ma anche a proteggere ciò che già funziona
Per noi è importante sottolineare un aspetto che spesso è sottovalutato: la tecnologia non serve solo a innovare, ma anche a proteggere ciò che già funziona. Essere digitali oggi significa saper prevenire i rischi, minimizzare l’impatto dei guasti e garantire continuità al proprio lavoro, anche in condizioni impreviste.
Crediamo che ogni azienda, piccola o grande, debba poter accedere a strumenti semplici, modulari e sostenibili per mettere al sicuro il proprio business.
Il futuro non premia chi si ferma, ma chi si prepara. E noi siamo qui per aiutare le imprese a farlo, passo dopo passo.
In questo percorso, noi di Fìdoka siamo al fianco delle aziende per supportarle nella definizione di piani di Business Continuity e Disaster Recovery su misura, mettendo a disposizione tutte le tecnologie necessarie per garantire resilienza, sicurezza e continuità operativa.
Se vuoi approfondire il tema con uno dei nostri esperti, prenota una call gratuita di approfondimento qui.