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Giugno 23, 2015E’ una piacevole sorpresa ritrovarci sul Times, una delle testate giornalistiche inglesi più lette oltremanica e in Europa.
L’articolo, di qualche tempo fa, è saltato fuori dai nostri archivi durante il restyling estivo. E’ di Bernhard Warner, giornalista e scrittore che sostituendo la quiete della ridente campagna di Sant’Ippolito (Gualdo) alle strade di Londra Sud, ha scelto di lavorare a distanza, da un’amena cascina. Non aveva considerato una nevicata abbondante, un segnale wireless a singhiozzo, e la necessità di posizionarsi da solo l’antenna.
Qui la sua storia, tradotta, e l’articolo originale.
Quanti scrittori di tecnologia servono per installare una rete wi-fi?
Nell’Italia rurale, dipende tutto dalla scala, dalla neve, e da un monastero del 16 esimo secolo.
Installare una rete wireless in casa può essere un affare tormentoso. In particolare, quando sei nel giardino, in piedi su di una scala, orientando una parabola della grandezza di un segnale stradale verso un lontano paesino medievale, mentre il tuo complice legge urlando i segnali di rete lampeggianti sul suo computer, affacciandosi dalla finestra di un ex-monastero del 16 secolo.
Non odiate questi momenti?
Questo era il quadro di qualche settimana fa, nel solitamente silenzioso borgo di Sant’Ippolito situato nelle Marche.
Il mio vicino, Michael Elridge, da tempo lasciatosi addietro le strade di Londra Sud (Streatham, per essere esatti), aveva trovato un kit wireless in un villaggio vicino con una tecnologia “troppo bella per essere vera”, che prometteva di connettere le nostre remote abitazioni con il resto del mondo.
Per installare la connessione iniziale ci era stato detto di orientare il piatto della parabola verso il villaggio di Gualdo, situato a solo 5 km. Bene, potevamo vedere Gualdo, ma era difficile trovare il nostro obiettivo all’orizzonte – un’antenna che emetteva un segnale dati da 5.4 ghz. E se la parabola era giusto ad un grado fuori traccia, perdevamo completamente il segnale. Ho maledetto ogni spasmo muscolare nelle mie braccia tesissime per lo sforzo.
Ovvio, andavamo a rilento. Abbiamo toppato svariati tentativi, puntando la parabola verso l’antenna fantasma. Da una distanza di soli 5km (al di sotto di noi), solo le gru e i lampioni del campo di calcio erano facili da individuare fra le torri antiche della cittadina. Il resto era affidato all’intuizione e al caso.
Infine abbiamo captato un segnale, debole ma continuo.
Tornai a Roma incoraggiato. Elridge rimase sul luogo, contattando Pino, il Mr Tuttofare locale. E dopo qualche giorno di continui tentativi, precedendo di poco la prima tempesta di neve primaverile dell’anno, il mio vicino mi ha contattato via Skype dandomi notizie trionfanti.
I nostri insuccessi iniziali non erano colpa nostra: l’antenna di Gualdo non funzionava. La rete che stavamo captando era un segnale da San Ginesio, un villaggio collinare a circa 5 Km oltre Gualdo.
Segnali di banda intermittenti e parabole impiantate a casa sono il solo modo di ottenere una connessione nel’Italia rurale. Che si tratti di WiMax, WiBro, Hiper-LAN o UMTS o HSDPA, per connettere l’Europa rurale c’è una sola soluzione. E quasi sicuramente i provider non saranno le ex- statalizzate Telecom, monopolisti che hanno pochi interessi nel servire gli esigui e sparpagliati clienti che vivono al di fuori delle città e nelle periferie – non importa quante volte lo richiedano.
Nella poco urbanizzata Sant’Ippolito, con la sua popolazione disseminata nelle campagne raccolta vicino gli Appennini, eravamo consapevoli che ci sarebbe voluta una tecnologia pseudo futuristica per connetterci ad una rete wireless.
Telecom Italia non avrebbe installato un cavo ad alta velocità vicino a noi, ed è il motivo per cui Fìdoka, una piccola impresa tecnologica di San Ginesio, giusto qualche valle più in là, ha investito in questa tecnologia wireless chiamata “Hiper- LAN” . Pensate ad un potente WiMax ma che utilizzi una parte non congestionata dello spettro radio.
Fidoka non aveva scelta. Si è inserita nel business della fornitura di rete dopo tentativi con Telecom Italia scaturiti in pura frustrazione. E’ stata costretta a ricercare tecnologie alternative per connettersi e sopravvivere.
A settembre 2005 è arrivata la svolta. I militari italiani hanno aperto al pubblico uno spettro di frequenze prima utilizzate solo per i radar. Fìdoka e altre ISP italiane hanno utilizzato questi densi segmenti dello spettro radio per inviare e ricevere informazioni a lunga distanza.
Fidoka ha investito nell’infrastruttura e ha assunto alcuni tecnici per scalare cisterne d’acqua e campanili nei villaggi circostanti, montare le antenne, e creare una rete regionale.
Grazie a Fìdoka, le comunità prima tagliate fuori – includendo scuole, aziende e decine di noi che venivano dalla città per trascorrere dei pacifici weekend ma volevano comunque accedere a e-mail e Skype da casa – ora possono navigare a velocità fino ai 3.1 Mbps (N.d.T nel 2005; a diverse decine di mega nel 2015). Non alla velocità della luce, ma è qualcosa.
Sulla scia del nuovo business, Fìdoka ha quasi duplicato il suo staff lo scorso anno. “Il nostro scopo era focalizzarci sul web design, sicurezza ed esternalizzazione, ma senza la rete non potevamo fare molto. Adesso, questo è il nostro core business” ha dichiarato Francesco Maria Compagnucci, uno dei fondatori di Fìdoka. E’ un momento di svolta anche per me. Sto inviando questa storia al mio editore dal giardino di Sant’Ippolito, non lontano da dove, qualche settimana fa, tentavo di bilanciare una parabola sulla testa mentre barcollavo sulla cima di una scala. I miei vicini marchigiani, un gruppo di contadini e pastori, in questi vetusti campi intorno a me stanno lavorando. E adesso posso farlo anche io.
Bernhard Warner, ex corrispondente internet Reuter in Europa ed editore senior per la testata The Industry Standard Europe, scrive di tecnologia, internet, e media. Può essere contattato a techscribe@gmail.com